domenica 15 aprile 2007

Terza missiva

“Non viviamo in una società morale, e sicuro come la morte non viviamo in un’epoca morale. Come dice il proverbio, “solo quando hai abiti e cibo puoi pensare alla povertà”. Siamo alla fase dell’accumulo di capitale. Siamo sottoposti a un battesimo di sangue e fuoco. È troppo presto per fare i moralisti. E in ogni caso, mi sono rotto di essere povero.”
Venerdì notte, sono con Maurizio sulla terrazza del Bar Rouge, da cui si gode di una stordente vista del fiume e della scintillante Pudong , quando un elegante signore cinese di mezza età che si aggira a dir poco sbronzo brandendo una bottiglia di costoso whisky mi fa tornare in mente alcuni passaggi di una delle interviste presenti nel libro China Candid, in cui uno dei maggiori pirati informatici cinesi esprime senza tanti giri di parole qual’è la filosofia di vita di una parte sempre crescente della popolazione. Seguito da uno stuolo di amabili signore ed impettiti amici, l’alticcio si lancia con entusiasmo verso Maurizio, avendolo scambiato per il suo compagno di festeggiamenti della serata, un istrionico australiano che si scoprirà originario della Tasmania. Gli amici cinesi, imbarazzatissimi per l’accaduto, subito ci offrono un paio di sorsate del liquido torbato, tenendo a precisare che è il compleanno del loro amico. Piuttosto divertito dall’imprevista scenetta, me ne torno verso la balaustra, magneticamente attratto dalla clamorosa vista, e come una lenta colata si riaffacciano brani letti prima della partenza, dalla scandalosa Mian Mian (“Quel che ricordo dei primi anni Novanta è che sempre, svegliandomi la mattina, pensavo: se chiudo gli occhi e li riapro non so più dove sono. È in corso una metamorfosi che sta provocando una mutazione profonda nei geni de­gli abitanti della mia città”.) ad un passo del capitolo dell’ultimo libro di Renata Pisu (“Scrive Acheng (famoso scrittore cinese, ndr) che quando ha visitato Shanghai la pri­ma volta (era l’inizio degli anni Ottanta) ha avuto l’im­pressione di trovarsi di fronte allo scheletro di un gigan­tesco dinosauro. Però, annota: «Stanno spuntando conti­nuamente nuovi edifici, che danno la bizzarra impressio­ne di nuovi speroni cresciuti su uno scheletro fossilizza­to». E conclude: «Quando si infoltiranno, costituiranno probabilmente il futuro aspetto della città».”[…] Però, anche se romanzata, Shanghai rimane fedele al suo mito di origine perché è nata e vive sotto il segno del­la trasformazione. Una volta la si descriveva come «bella e corrotta come una vera femme fatale eurasiatica, com­pendio di tutti i vizi occidentali e orientali».). La profezia di Acheng si è decisamente avverata.
Decidiamo di rientrare nel sofisticato locale dove il colore rosso regna sovrano, appartati divani si susseguono, il grande banco al centro è un palcoscenico in cui si intrecciano due spettacoli: l’affollata lotta per assicurarsi i servigi dei competenti barman ed i giochi di seduzione delle più belle donne orientali che io abbia visto da quando sono a Shanghai, una parte delle quali esercita con riserbo più o meno velato la professione più antica del mondo.
Ironia della sorte vuole che in mezzo ad un gruppo di italiani ci sia anche Renata Pisu, arzilla sessantenne che per quanto ne so solitamente vive a Pechino. La nottata poi è proseguita fra improvvisi “svenimenti” causati dall’insostenibile avvenenza delle già citate donzelle e la piacevole compagnia di alcune ragazze italiane conosciute la sera prima al Laris. Musica di ottima qualità.

La giornata seguente mi ha visto impegnato come esperta (“…e saccente”, come immagino penseranno fra di loro metà dei miei presunti e stimatissimi lettori e lettrici che mi conoscono da un po’…) guida nel centro della città, onore ed onere guadagnato dopo due settimane di scarpinate shanghaiesi. Beneficiari il nostro Maurizio e l’accresciuta rappresentanza delle italiche grazie, Manuela nel prezioso ruolo di vice. Durante l’ennesima scarpinata ecco che l’arzilla Pisu si ripresenta in forma letteraria (“Penso che anche accostarsi a Shanghai richieda grande abilità. I bastoncini, cioè i suoi molteplici aspetti, sono tutti sul tavolo, si sovrappongono, si intersecano, all’ap­parenza inestricabilmente. Ne muovo uno, è quello della Shanghai delle Guardie Rosse, ne sfioro un altro, è la Shanghai di Marlene Die­trich che nel film Shanghai Express dice che ci va perché soltanto lì si può comprare un cappellino decente. Tento di sollevare il bastoncino della Shanghai delle rivolte operaie degli anni Venti (mi ricordo all’improvviso il ro­manzo di André Malraux, La condizione umana) ed ecco che vibra subito quello che gli sta accanto della Shanghai di James Ballard invasa dai giapponesi, come l’ha de­scritta nel romanzo L’Impero del Sole).

Ballard…Nei giorni seguenti spesso mi è sembrato di essere il bambino protagonista de L’Impero del Sole, per il quale “…le uscite serali in macchina per il centro di Shanghai – la città elettrica e sinistra più eccitante di qualunque altra al mondo – erano sempre attese da lui con felice anticipazione”. Ogni giornata ha riservato piacevoli e spesso inaspettate scoperte: una cena in un ottimo ristorante cantonese all’86° piano della torre Jinmao (lascio immaginare la vista…), una visita agli atelier ed i negozi di Tai Kang Lu ed un lungo massaggio ai piedi in ambiente molto rilassante (gli ometti capiranno gli effetti benefici del massaggio considerando che precedentemente il malcapitato narratore aveva partecipato ad un luculliano pranzo di Pasqua fra italiani ed aveva poi accompagnato a fare shopping delle agguerritissime signorine, fra cui la Vulcanica), una interessante passeggiata nell’ex concessione francese prima di incontrare nel suo studio Philip, giovane architetto “discepolo” di Wallace di Hong Kong, aperitivi al bar dell’Hotel Marriott, dal quale si domina Piazza del Popolo, e al Face, elegante bar che si trova in una graziosa palazzina di epoca coloniale situata al centro di un magnifico parco, speziate ed abbondanti cene in ristoranti sichuanesi (regione della Cina) e brasiliani, dove l’utilizzo di forchetta e coltello, dopo lunghi giorni di battaglie con bacchette e cucchiai, ha decuplicato l’appetito.

Questa è la Shanghai affascinante e a volte un po’ stereotipata che è l’indiscussa protagonista dei racconti di Mian Mian (“Shanghai, Shanghai, amo Shanghai perché è femminile. Qui c’è un misto di piacere, rilassatezza, edonismo, nichilismo, sentimentalismo. Come dice il padrone dello Yin e dello Yang: “Il senso di Shanghai sta nell’espressione “Non ha importanza””. L’acqua che scorre ha mille volti.[…] Shanghai è donna. Somiglia a un palcoscenico dove però nessun attore ha una parte da recitare. Nelle feste del fine settimana spesso capita di incontrare la stessa gente, è la cosa più noiosa, ma anche la più interessante.”) e di Zhou Weihui (“Questo stato d’animo in gran parte si spiega con il fatto che vivo a Shanghai, avvolta sempre da uno smog asfissiante e immersa in pettegolezzi perpetui e opprimenti. Ho ereditato anche il senso di superiorità di essere shanghaiese, un’attitudine nata all’epoca coloniale quando Shanghai era divisa in varie concessioni sotto la giurisdizione delle potenze occidentali, che mi stimola, mi eccita, penetra nel mio cuore sensibile e presuntuoso, e suscita in me, che sono una giovane donna, amore e odio.[…] Le luci erano accese, le insegne al neon brillavano come fossero d’oro. Camminavo sulle strade ruvide e larghe immettendomi nell’intenso traffico, milioni di persone e autovetture. Pareva che la Via Lattea fosse esplosa e i rottami fossero caduti sulla terra: era il momento più eccitante della città. […] Navi, onde, prati nerastri, luci al neon abbaglianti, costruzioni stravaganti…tutto ciò costituiva la ricchezza appariscente della città, basata sul mondo materiale. Era come un afrodisiaco di cui Shanghai si vantava, ma che non aveva nulla a che fare con noi, anche se vivevamo qui. Un incidente stradale o una malattia ci possono togliere la vita, ma l’anima della città, prospera e irresistibile, si muove senza soluzione di continuità, senza mai fermarsi.[…] Il mio istinto mi suggerì di dedicare qualche pagina alla descrizione della città di Shanghai alla fine del secolo ventesimo: una metropoli epicurea, che produceva schiume euforiche, esseri umani di nuova generazione, e che era intrisa, per le strade e nelle viuzze, di un’atmosfera frivola, triste e misteriosa. Era la città emblema dell’Asia orientale, unica nel suo genere. Qui aveva regnato negli anni Trenta una cultura mista, formata da elementi orientali e occidentali, assimilati e modificati; adesso era invasa dalla seconda ondata di occidentalizzazione.[…] Alcune persone soprannominano Shanghai “la Città delle Donne”, forse per distinguerla da alcune città della Cina del Nord, con connotati indiscutibilmente virili.”), le due giovani scrittrici cinesi più famose.

Nel frattempo le ragazze italiane e Maurizio sono partiti, ed è arrivata Silvia, studentessa di architettura a Venezia e mia concittadina, che è venuta per ritrovare il suo compagno Nicola, ormai considerato quasi un veterano qui a Shanghai, e per svolgere la sua tesi di laurea.

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