“Compand…modern...two bedrooms…compand…japanese style…compand…new...compand…compand…COMPAND!!!!”.
“Compand: chi era costui?”
Sono ormai le sette e mezza, Silvia ed io siamo esausti, da tutto il pomeriggio rincorriamo senza sosta i Ginger & Fred degli agenti immobiliari di Shanghai, aka Jessica & Michael. Silvia e Nicola stanno cercando un appartamento, Jessica & Michael hanno il compito di mostrarci quanti più appartamenti possibili per trovarne uno adatto. A tal fine ritengono opportuno farci spostare attraverso la città come palline di un flipper per un intero pomeriggio, a piedi o in taxi (uno degli autisti probabilmente è un pilota di rally urbano con manie omicide, ndr), all’inseguimento dei loro fiammeggianti scooter. Ci spostiamo così di compound in compound (un compound, detto compand dagli autoctoni, è un insieme di edifici residenziali circondato da un alto muro o inferriata e sorvegliato da vigilanza privata. Un altro termine comunemente usato è gated community, ndr), dalle vicinanze di Xintiandi alla Concessione Francese, e da qui di nuovo a nord dalle parti di Piazza del Popolo.
Le gated communities sono un fenomeno ormai consolidato in tutto il mondo, e del caso cinese ne hanno parlato sia giornalisti italiani (Federico Rampini nell’articolo Collasso Urbano: “Nel ceto medio urbano montano l’intolleranza, la diffidenza, o la paura, verso le orde degli immigranti rozzi che vengono da regioni lontane, parlano a stento la lingua nazionale (il mandarino), sono associati con la diffusione di malattie, droga, prostituzione. A loro volta, gli immigrati si sentono trattati come cittadini di serie B, sfruttati e ricattati dai datori di lavoro che li impiegano nei canteri edili, nei lavori stradali, come spazzini o come camerieri, manovali e donne delle pulizie.[…] In questo clima di diffidenza fra le due Cine che convivono nelle stesse megalopoli, i grattacieli residenziali edificati a Pechino e Shanghai per ospitare condomini benestanti sono circondati da alte griglie di sicurezza, hanno cancelli sorvegliati giorno e notte dai vigilantes armati. Le autorità cinesi e la middle class agiata hanno lo stesso incubo: vedono i sintomi incipienti della nascita di favelas di immigranti poveri alle periferie delle grandi città, focolai di malattie, delinquenza, instabilità sociale.”) che studiosi di origine cinese, come Pu Miao nel suo paper Deserted Streets in a Jammed Town: The Gated Community in Chinese Cities and Its Solution (“While the densely placed mid- or high-rise apartment buildings along the street do not look very different, they all rise out of walls more than 2 metres high, and are further rimmed by immaculate hedges and tile-paved sidewalks. But you see few souls on most of these sidewalks! The entire urban space looks like a giant stage set without actors. The walls keep going on and on, sometimes as long as 500 metres, and are only occasionally punctured by a gaudy gate decorated with copies of Greek statues and private guards dressed like police officers. […] Between 1991 and 2000, 83% of the residential communities in Shanghai were gated in a variety of ways. […] The Chinese refer to their gated communities as ‘sealed residential quarters’. Akin to the ‘Neighbourhood’ concept originating in the 1920s’ US, the ‘residential quarter’, or xiaoqu, finds its direct lineage in the microrayon of Soviet Russian planning theory introduced into China in the 1950s. Sanctioned by national planning codes, the concept has since become the basic unit in planning and developing residential construction. All new master-planned communities are designed as residential quarters. Similar to its US counterpart, a ‘sealed residential quarter’ is a walled compound with one or more guarded gates, sometimes supplemented by high-tech surveillance equipment such as closed-circuit cameras and infrared alarm systems at the borders. The new master-planned residential quarter has some semi-public amenities within the gate. Depending on the price range of the units, the amenities range from a mere concentrated green space as the minimum, to a variety of extras such as playgrounds, a clubhouse, and even stores and a swimming pool. Some kind of residents’ organization runs the community with its private security team.[…] However, a Chinese gated community tends to be much larger in population and land area, and more standardized in its layout than an American one. Based on the national model of the residential quarter, a Chinese walled development usually covers 12—20-plus hectares of land and holds 2000—3000 families (assuming 3.2—3.5 persons each family). The huge size is believed to create economies of scale, but it also generates the monopoly of a single development model. […] One of the two differences between the US and the Chinese gated communities which is consequential to the later discussion involves the much higher density in the residential quarter; Chinese cities generally have densities about 5—10 times greater than those of US ones. […] Gating in the US serves different purposes in communities with different social and economic characteristics: to prevent outsiders from using privatized public amenities, to ensure prestige, or to increase protection. The primary reason for gating in China currently, however, is always security, with others existing merely as additional rewards.[…] The final feature unique to China explains the rapid spreading of gating. During the current transition from a planned economic system to a market-oriented one, the government sees maintaining social stability as its topmost political concern, and gating as a quick solution to crime control which directly contributes to stability. Therefore, governments of all levels have included gating residential areas as part of their programmes. Local governments specify in their working schedules the number of communities to be gated within certain periods of time. Gating is an important criterion in deciding if a community will be awarded the official title of ‘Civilized and Safe Residential Quarter’. All this is hard to imagine in the US, where gated communities are always initialized by the private sector, either the developers or the homeowners.).
Durante i nostri febbrili spostamenti si è sempre più acuita un’impressione che ho avuto fin dai primi giorni a Shanghai: la sottile osservazione di Benjamin (“La città è uniforme soltanto in apparenza. Perfino il suo nome assume suoni differenti nei diversi quartieri. In nessun luogo – se non nei sogni - il fenomeno del confine può essere esperito in forma così originaria come nelle città. Conoscerle significa avere un sapere di quelle linee che, con funzione di confini, corrono parallele ai cavalcavia, attraversano caseggiati e parchi, lambiscono le rive dei fiumi, significa conoscere questi confini nonché le enclavi dei territori.”) è qui ormai superata nella realtà quotidiana, portata alle estreme conseguenze, le immateriali linee di confine si sono brutalmente concretizzate. L’irrevocabile e apparentemente inarrestabile sostituzione dell’antico tessuto edilizio sta portando via con sé non solo edifici storici, forme di insediamento, stili di vita ma anche la possibilità di esperire il fenomeno della soglia (ancora Benjamin: “La soglia deve essere distinta molto nettamente dal confine. La Schwelle (soglia) è una zona. La parola schwellen (gonfiarsi) racchiude i significati di mutamento, passaggio, straripamento, significati che l’etimologia non deve lasciarsi sfuggire.”). Camminando lungo le congestionate strade fra i diroccati edifici dell’antica città cinese è proprio questo che si percepisce: essere in una zona, uno spazio dove attività quotidiane, gesti, odori e rumori straripano e si mescolano, fluendo irruenti contro il passante.
Il nostro continuo andirivieni alla ricerca dell’agognato appartamento, fra scale, ascensori, marciapiedi, giardini, i vagabondaggi e le foto fra stanze arredate nelle più disparate maniere, spesso costretti a calzare minacciose pattine gentilmente fornite dagli attuali padroni di casa, hanno un effetto straniante: Jessica a volte con la sua melliflua ed incalzante gentilezza sembra quasi trasfigurarsi in uno degli inquietanti nani tanto cari a David Lynch. Inizio ad intuire a cosa alludeva Mian Mian quando diceva che era in atto una mutazione genetica negli abitanti della sua città, colgo la lampante differenza negli stili di vita fra gli abitanti dei quartieri diroccati e la nuova classe media ansiosa di seguire i sincopati ritmi di vita occidentali (e qui ancora una volta Benjamin era stato profeta:“…nel desiderio di viaggiare, che divide la vita dell’anno in molti periodi brevi, accentuando le partenze e gli arrivi. Il tempo della vita moderna significa non soltanto il desiderio di un rapido cambiamento dei contenuti della vita ma anche la potenza del fascino formale del confine, dell’inizio e della fine.”). Già trent’anni fa il geniale Cedric Price aveva intuito tutto: “The generators of tourism are the desire for pleasure, curiosity, uniqueness and difficulty of achievement. Thus this unpaid labour force of millions accepting few limits either on nationality, race or creed is likely to pay money and attention to areas, objects and methods for the passing of time that are viewed in a very different light by those in paid employ. However, not only are both groups frequently the same people with only a time difference but the difference between validity of the place or process for these two groups is found in an increasingly small time span. Tourism is becoming a regular event for most in the developed and developing countries of the world - whether confined to the native country or not. In the same way activital patterning recognised as “work” can simultaneously be seen as “leisure” when observed., rather than indulged in, elsewhere. Thus tourism is no longer the rich looking in wonder at the poor, or the past, more a continuing appetite for the determining where, what and why is the difference in contemporary life patterning. This vast and stable industry, highly profitable to its host nation, requires more than well-maintained relics of the past: it requires, in fact, physical means to achieve pleasurable recognition and understanding of the present and the future.”
Ci sono infiniti spunti di riflessione in queste frasi (il nesso tra turismo, consapevolezza del passato, presente, piani,immagine della città e visioni future è tema di cruciale importanza a Shanghai, e sarà oggetto di una delle prossime puntate…), ma uno in particolare mi sembra qui importante: il continuo “appetito” (Price era un bon viveur, e le metafore culinarie compaiono spesso nei suoi scritti) del turista (che ormai è sinonimo di cittadino, ndr) nel determinare dove, cosa e perché sta la differenza nel pattern della vita contemporanea.
Questo appetito assume spesso la forma inconscia e banalizzata di una grande battuta di caccia: come in un safari, in molti siamo ormai alla ricerca dell’ultima novità da mostrare come trofeo agli amici, dell’ultimo ristorante o locale di grido, del posto esclusivo e conosciuto ad una cerchia ristretta ed elitaria, presto abbandonato con stizza quando ormai in troppi lo frequentano (“The generators of tourism are the desire for pleasure, curiosity, uniqueness and difficulty of achievement”). Gli abitanti dei compound sono molto spesso turisti nella loro infinita metropoli, partono ed arrivano continuamente nell’arco della stessa giornata, superano distrattamente una moltitudine di confini. Jessica stessa, elencando orgogliosa i servizi di cui godono i condomini di un compound , potrebbe benissimo essere l’impiegata di un agenzia di viaggi che ci elenca cosa troveremo nel villaggio vacanze che abbiamo scelto: ampio giardino, piscina olimpionica coperta, fitness center, campi da tennis, e udite udite, un karaoke gratuito!!!
Il grado, la rapidità e l’intensità di questa mutazione sembrano quasi irreali ed impossibili in tempi così brevi, e sorge il sospetto che non tutte le influenze provengano da occidente. Il sospetto viene confermato dall’accurata ricerca compiuta da Pu Miao: “According to newspapers and other official reports, governments encourage gating because it reduces crime without further burdening the police force. A majority of residents like the gate, for it not only increases the sense of security but also eliminates pedlars, noise of through traffic, unwanted salespersons and flyers slipped under doors. […] On the other hand, grass-roots reports revealed that residents of Chinese gated communities privately complained that the walls only provided the image of a safe environment. They offered no guarantee to real safety itself.[…] Therefore, although today’s China has maintained a lower crime rate when compared internationality in absolute numbers, Chinese residents increasingly feel insecure as they compare their life with that of yesterday. In the current trying time, it is no wonder gating has been welcomed as an easy solution. But gating also has a deeper root in Chinese culture and urban history, which explains why both residents and the government accept it more quickly than they do other Western ideas. Historically, the Chinese city existed mainly as the outpost of the empire to serve the latter’s taxation and military needs. As Max Weber pointed out, “In contrast to the Occident, the cities in China and throughout the Orient lacked political autonomy”. Since the Chinese city was not fundamentally a community or association of its average residents, “the prosperity of the Chinese city did not primarily depend upon the citizens’ enterprising spirit in economic and political ventures but rather upon the imperial administration”. Such a peculiar nature produced two profound results in China’s urban culture. First, the average Chinese urbanite generally lacked participation and even interest in the public affairs of their city. Second, since there was no incentive and funding for the city government to concern itself too much with municipal functions, road building, fire fighting and other items had to rely on the fund-raising and co-ordination of a small number of local gentry, and such efforts were never institutionalized. In general, the Chinese city was ‘thrifty’ with its civic services. Urban residents had to take care of themselves for a variety of matters, including their own safety.These cultural traits manifested themselves in physical forms as the inward-oriented private spaces (the courtyard houses), the weak interaction between the private and the public (the solid walls flanking a street), and the lack of public spaces (such as parks and plazas in a Western city) other than the street. Governmental buildings like the yamen and barracks often took the form of large walled compounds located in the middle of a city, bluntly interrupting local circulation. This tradition appears to have worked well with a variety of political ideologies in Chinese modem history, having been continued from the Imperial period, through the Republican era (1912—1949), to the Maoist period of the Communist rule (1949—1976). Before the 1978 reform, the Communist government treated the city in a way not fundamentally different from its predecessors. Based on national strategic plans, the government built factories, universities and other institutions in the city as large, self-sufficient and walled compounds, disregarding their interactions with local urban contexts. […] If gating is criticized by the liberal tradition within Western societies, no such balancing force exists in China. Without the Westem tradition of urban association and sufficient policing, average residents’ sense of self-protection easily outweighs the value of social interaction. Compartmentalized urban space has quickly reappeared in the form of the gated community. Its current popularity in the US only adds a halo of ‘modernization’ around this selective learning from the West. Even the migrant population have formed their own gated communities.”
Nei casi più significativi e compiuti, tralasciando giudizi di ordine estetico e di facile e scontata irrisione del kitsch, le gated communities di Shanghai hanno una grande affinità con le Höfe della Vienna Rossa degli Anni Venti: enorme impatto fisico e simbolico, monumentalità, presenza omogenea in tutte le aree della città, mito dell’autosufficienza, lucido e deliberato supporto del tipo di sviluppo residenziale da parte dell’amministrazione pubblica, orgogliosa ed a volte sfrontata dichiarazione di sfida da parte di una parte della società civile (la classe operaia a Vienna, il ceto medio rampante a Shanghai), conscia della propria forza e decisa ad imporre il proprio modello di vita in una società disorientata, in trasformazione ed in crisi di identità. Ancor oggi, dopo essere stato addirittura bombardato dall’esercito austriaco nel 1933, il Karl Marx Hof a Vienna racconta molto chiaramente quale fosse la posta in gioco nell’Europa del primo dopoguerra.
Poi, seduti in una caffetteria a Shanghai, capita di sfogliare le pagine di riviste e pubblicazioni dedicate all’imminente Expo del 2010, che ha come obiettivo dichiarato e ambizioso quello di indicare “la Via” per lo sviluppo delle città nel XXI secolo, e ci si imbatte in frasi, slogan e dichiarazioni del tipo: "This is the synthesis of 25 years of general reflection [...] The aim is to move towards an Harmonious Society: to the outside, it's an Harmony with the World, to the inside, it's an Harmony within society. From "faster and better" we are moving to "better and faster", and the approach to it is sustainable development.", “The Expo proposes an idea of "Harmony City", which comes from the essence of the Chinese culture - Harmony. Harmony is the base for peace and an harmonious world is the development of world peace", "Sustainable development is compatible with the rules of historical development, so we definitely support it", o ancora “Future of the city: Humanity - Harmony among human beings; Ecology - Harmony between Men and Nature; City Renaissance - Harmony between history and future.”
“Green”, “Recyclable” e “Sustainable” sembra siano le formule magiche con le quali risolvere tutti i problemi. Al momento ho i miei dubbi…
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