Chi tra voi é un fan di Corrado Guzzanti e soci sicuramente ricorderà quei magnifici spot intitolati "La Casa delle Libertà", in cui i protagonisti si comportavano fra le quattro mura domestiche in modo quantomeno insolito e dimentico del bon ton. Durante questa prima settimana di lunghi vagabondaggi sempre più spesso al nostro è sembrato che il famoso slogan di quegli spot potesse, con una piccola modifica, diventare il motto dei cinesi sulle strade: "é la strada delle libertà, facciamo un pò come c...o ci pare!". A prescindere dal mezzo usato, sia esso un suv, una bici, un carretto alato o i sempre affidabili piedi, sembra infatti che le strade siano considerate come una superficie neutra, senza particolari regole, versi di percorrenza, quasi come un grande prato su cui stendere la propria tovaglia, estrarre il cestino con i viveri e godersi un salutare picnic. Quest'atmosfera arcadica/tropicale vede poi la presenza di un'altra istituzione locale, le foreste di cavi elettrici. Infinite traiettorie, grovigli e figure intrattengono turisti e non, per la gioia di grandi e piccini.
Lasciando momentaneamente la grande città, torniamo all'isola felice e polverosa (ci sono grandi lavori in corso per il centenario della Tongji, il 20 maggio venturo) del campus. Eravamo rimasti al primo incontro con il prof.Lou, che si è rivelato piuttosto soddisfacente, in quanto si è rivelato profondo conoscitore delle tematiche che Ludovico tratterà (expo 2010 ed immagine della città).Gli è stato cortesemente fornito un primo utile testo, un numero monografico della rivista "Ideal Space", pubblicata dalla Tongji, dedicato esclusivamente all'expo.Il giorno seguente i baldi giovini hanno attraversato Nanjing road, piacevole arteria pedonale e commerciale di chiara impronta occidentale, con destinazione Piazza del Popolo, cuore della città, dove fra gli altri numerosi edifici pubblici si trova lo Shanghai Urban Planning Exhibition Center: pezzo forte dell'esibizione un gigantesco plastico della città futura, impressionante per dimensione e qualità del dettaglio. Penso che, tenendo conto delle differenze dovute alla diversa epoca storica, in qualche modo l'immane trasformazione urbana di Shanghai abbia diverse affinità con quella operata dal barone Haussmann a Parigi nel XIX sec. Anche qui,in particolare allo Shanghai Urban Planning Exhibition Center, si possono cogliere la stessa determinazione, volontà e consapevolezza di ciò che si sta facendo e di cosa si vuole ottenere (Haussmann:"Paris est pour ses habitants un grand marché de consommation, un immense chantier de travail, une arène d'ambitions, ou seulement un rendez-vous de plaisirs. Ce n'est pas leur pays...", o ancora Julius Meyer, sempre riguardo la Parigi del XIX sec.:"Questa pompa ha qualcosa di opprimente, come pure la fretta incessante con cui si effettua la trasformazione della città, impedendo a chiunque, nativo o straniero che sia, di riprendere fiato e sensi (...) La fretta febbrile, che comprime in un decennio l'attività di secoli, toglie il respiro"). Ecco quindi i cinque motti della trasformazione di Pudong, ovvero luce, eleganza, crescita, velocità, gente, o la dichiarazione d'intenti per l'Expo ("Migliorare l'immagine della città di Shanghai e trasformarla in una metropoli internazionale con civiltà e grazia"), o il tema stesso dell'Expo ("La città migliora la vita"). Forse a volte il come questo avviene non gode della stessa lucidità, chiarezza e coerenza delle altre fasi della trasformazione. Il paragone con Parigi diventa poi eclatante quando ci si imbatte in un plastico che allude chiaramente alle famose sezioni dei nuovi boulevards in cui erano messe in luce le innovazioni tecniche applicate, dalle fognature ai sistemi di trasporto. Si trova uno spaccato di un'ipotetica strada di Shanghai, nel cui ventre un gruppo di tubi fluorescenti di diverso diametro rappresenta la metropolitana e la razionalizzazione del sistema delle forniture, compreso l'interramento dei famosi grovigli di cavi elettrici cui accennavo prima. Molto significativo è poi una sorta di tavolo in cui sono presenti i modelli delle tipologie abitative del passato, del presente e del futuro, quasi a voler testimoniare e celebrare il passaggio del testimone.
Lungo il percorso verso la Terra Promessa (un piatto di spaghetti fumanti a casa della provvidenziale Sabina) il nostro ha poi attraversato un isolato di lilong, densi quartieri residenziali costruiti negli anni Venti dagli occidentali ed ora abitati da famiglie cinesi. Le porte di accesso a questi isolati introducono verso ritmi e stili di vita diametralmente opposti a quelli della città dei grattacieli e degli ampi viali, tutto si concentra e mescola, dalle dimensioni fisiche, agli odori, alle attività umane. Percorrendo i vetusti lilong (i densi quartieri popolari costruiti dagli occidentali nel secolo scorso) e l'antico insediamento cinese torna alla mente il lamento di Baudelaire ("La vieux Paris n'est plus. La forme d'une ville change plus vite, hélas! que le coeur d'un mortel.") per l'antica e misteriosa Parigi che andava scomparendo sotto l'implacabile azione del prefetto della Senna.Le italiche sirene culinarie hanno poi permesso a Ludovico di godere di un punto di osservazione della città opposto a quello dei lilong, trovandosi a banchettare agli ultimi piani di un'alta torre residenziale. La situazione dall'alto appare ancora più chiara, e suonano di grande attualità le parole di Behne a riguardo delle Mietkasernen berlinesi: "Il casermone (ma lo stesso vale per le torri nelle gated communities,ndr) rappresenta l'ultimo castello feudale, che deve la sua esistenza e la sua forma alla lotta brutale ed egoistica fra i singoli proprietari terrieri per il possesso del suolo, il quale nel corso del conflitto concorrenziale è stato frantumato e diviso in piccoli pezzetti. Così non c'è da meravigliarsi se vediamo riapparire persino la forma del vecchio castello - nel cortile circondato da mura. I proprietari, l'uno contro l'altro si separano, ed è proprio questa una delle ragioni per cui alla fine un casuale residuo dell'intero resta d'avanzo".
Molto soddisfatto del lauto pranzo, il nostro ha poi attraversato un altro quartiere cinese piuttosto vivace, prima di giungere a Qipu Lu (lu significa strada,ndr), lunga via contornata da numerosi centri commerciali, frequentati prettamente da cinesi. All'interno dei centri la situazione è surreale, sembra di essere in una versione commerciale della famosa Biblioteca di Babele del racconto di Borges: qui alle "gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, orlati di basse ringhiere" si sostituiscono piccoli negozi di abbigliamento, occupati sempre da due o tre commesse con chiome quasi sempre fluenti, colorate e bizzarre e da un immane quantità di vestiti. Questi spazi sembra si ripetano all'infinito in ogni direzione, e trovare l'uscita non è impresa facile. Pochi passi ed ecco ricomparire gli ormai consueti densi quartieri, ora composti non più da eleganti edifici coloniali ma da modesti edifici a due-tre piani: le condizioni di vita non sono delle migliori, ognuno qui sogna di abitare in un appartamento con moderni standards, ma balza subito agli occhi la ricca e concitata rete di relazioni sociali. La dimensione pubblica di ogni attività quotidiana ricorda molto quella dei paesi del Mediterraneo (Dupassage:"Dans tout les pays méridionaux, où la conception populaire de la rue veut que les extérieurs des maisons paraissent plus "habités" que leurs intérieurs, cette exposition de la vie privée des habitants confère à leurs demeures une valeur de lieu secret qui aiguise la curiosité des étrangers. L'impression est la meme dans les foires: tout y est si abondamment exposé à la rue que ce qui n'y est pas prende la force d'un mystère"), anche se qui forse tutto è spinto ancora più all'estremo, dagli odori al frastuono.
La giornata seguente ha visto le italiche schiere, guidate dalla rediviva Duan, recarsi in quel di Xintiandi, meta prediletta da turisti ed occidentali, riuscita e un pò "leccata" operazione di conservazione di alcune delle più eleganti zone di lilong della città. Qui è presente anche l'edificio in cui nel 1921 si tenne la prima riunione del Partito Comunista, oltre che a numerosi ristoranti, caffè e locali notturni alla moda. Mette un pò di malinconia pensare che probabilmente fra pochi decenni la memoria degli antichi e affascinanti lilong sarà affidata quasi solo a questi edifici imbalsamati. L'ardita spedizione, elmetto sempre ben calcato sulla fronte, ha poi proseguito verso la zona del primo antico insediamento cinese, dove probabilmente le condizioni di vita nel corso dei secoli non sono poi cambiate di molto. La strada è sotto il controllo totale di pedoni e ciclisti, un intricato coacervo di teli stesi in strada e carretti fa da spazio espositivo e di vendita per le più disparate merci, dalle fragole a turgidi vibratori (non quelli per il cemento,ndr), alcuni si dilettano nel dialogo con i piccioni sui tetti, i più vociano estenuati a squarciagola. L'impavida condottiera, accortasi che le pallide truppe necessitavano di rifocillarsi, dopo averle ricondotte nel più anestetizzato parco giochi con pagode per turisti e non, ha individuato una buona sorta di rosticceria, ove servivano svariati intingoli e zuppe che a dir la verità poco hanno soddisfatto le temutissime fauci di Ludovico, che infatti con fare bellicoso si è poi avventato su un saporito spiedino ovino.
Giunto il giovedi, le truppe avevano piantato le tende nello studio, quando il simpatico professor Yin invita tutti per un pranzo tipico al di fuori dell'isola felice e polverosa: le pietanze sono decisamente più consistenti e saporite di quelle del giorno precedente, e i dolci riservano sorprese: una sorta di strudel con carne di maiale affumicata e delle sfere di consistenza gommosa di pasta di riso verde (colore dato da una pianta non identificabile) con all'interno una composta di qualche frutto, che il nostro presume di aver identificato nella carruba. Al che nel pomeriggio, mentre Ludovico boccheggia in seguito al pranzo abbondante e cerca di digitare con un certo ordine apparentemente sensato una discreta quantità di parole, arriva Maurizio, ricercatore della VIU (fra le altre cose), che stremato dagli impegni della giornata viene dapprima introdotto ai misteri e alle meraviglie dell'isola felice, dopodichè, unitosi alle italiche truppe, si reca presso un elegante ristorante balinese nei pressi di Piazza del Popolo, sedendo all'allegra tavolata di giovini occidentali (ovviamente ormai non serve più sottolineare come l'invito sia giunto dalla Vulcanica). Parte di questi si spostano poi al bar Laris, uno dei locali più alla moda della città, in cui anche tende e bicchieri sembra siano di marmo. Qui la serata procede allegramente, allietata in particolar modo da un'apprezzatissima e numerosa rappresentanza di bellezze provenienti dai cinque continenti. Unica nota negativa: avvistato ed ingerito uno dei peggiori cocktail della storia, di cui sarà meglio per le generazioni future dimenticare anche il nome.Qui lo scriba vi lascia...
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