domenica 6 maggio 2007

Ottava missiva

Un leggero vento da nord scuote le fronde, alcune foglie planano caute sulla tavola imbandita in mezzo all’ampio marciapiede. Primavera a Pechino. Sorseggio la mia Yanjing Beer, mentre Beppe Griglia (nome d’arte, ndr) sta facendo la messa in piega con il phon agli sventurati spiedini ordinati dai nostri affamati vicini. Sembra quasi di essere a Buenos Aires, da un momento all’altro mi aspetto che una sinuosa porteña esca dal negozio di tabacchi, un’indolenza latinoamericana si aggira benevola per le strade e fa da tiepida coltre al pechinese che gioviale scende in pigiama e pantofole a bere e discutere con gli amici.

Arrivando da Shanghai, si ha quasi l’impressione che Pechino sia un immenso villaggio: alberi dovunque, quasi nessuno suona il clacson mentre guida, in alcune zone non si vede all’orizzonte nemmeno un edificio alto e gli abitanti sembrano molto più rilassati e disposti a fermarsi a conversare. Intendiamoci, Pechino è la capitale dello Stato più popoloso del mondo, è semplicemente sterminata (basti solo pensare che stanno costruendo il settimo anello di tangenziale attorno alla città…), ed anche qui, in particolare nelle zone di recente espansione, le torri per uffici ed i compound spuntano come funghi. Però…un dubbio si insinua. Sarà forse dovuto alla strade molto ampie e al fluire imperturbabile di persone e di mezzi, o alla ossessiva e geometrica pianificazione di ogni elemento urbano, dal più esteso al più minuto, resta il fatto che la strana sensazione che si ha è quella di una città ultraterrena, in cui gli abitanti non si occupano di comuni e frenetiche attività, di instabili negoziazioni, di commerci e quotidiani sotterfugi, ma ripetono con imperturbabile precisione misteriosi rituali dalla cadenza millenaria.

Percorrendo i sentieri e fermandosi nelle pagode del Palazzo d’Estate pare quasi di trovarsi in uno degli eleganti ed equilibrati dipinti cinesi del periodo imperiale, perlustrato palmo a palmo da ingordi consumatori di ghiaccioli.
I compatti e monocromi hutong, antichi quartieri popolari lontani antenati dei lilong di Shanghai, si sono ritirati in cerca di salvezza attorno alle rive dei laghetti Hou Hai, ed ogni portone rosso, presidiato dall’onnipresente bandiera nazionale, lascia intravedere mondi paralleli e storie dimenticate. Hugo Pratt avrebbe trovato qui innumerevoli corti sconte da cui far partire il Maltese verso l’ennesima avventura, o semplicemente fargli sorseggiare un tè e giocare a mahjong con un saggio vecchietto.
Piazza Tiananmen, assediata da edifici pubblici sgraziati e mastodontici ed impregnata di penetranti umori storici, sembra la grinzosa pelle di un elefante percorsa da fastidiose e minuscole mosche. La pesante coda, con la regolarità di un pendolo, le spinge verso le tre porte che danno accesso da sud alla Città proibita. Percorro quella centrale, un tempo era riservata solo all’Imperatore, mi avrebbero tagliato la testa per questo. Ora i tempi sono cambiati, e l’enorme ritratto di Mao vigila paterno sugli sciami vocianti. Il giallo, colore dell’Imperatore, ed il rosso dominano incontrastati, simmetria e ripetizione sono qui leggi assolute, ripetute come un mantra che si espande dai templi buddhisti, rinfrescanti ed ombrose oasi policrome. Un’altra legge che vige è quella del senso unico pedonale, alquanto bizzarra in un Paese in cui ognuno si comporta per le strade come fossero un ampio pascolo, e non c’è verso di convincere gli inflessibili vigili (aggettivo e nome qui altamente intercambiabili, ndr) a fare uno strappo alla regola (solito italiano direte voi…).
Esausti al punto giusto per essere sacrificati, ci spostiamo poi al Tempio del Paradiso. Il complesso è monumentale, al tempio vero e proprio seguono un altro tempio circondato dal famoso Muro dell’Eco e l’altare circolare, dove gli imperatori ed i sacerdoti svolgevano i loro riti beneauguranti.
Gli edifici sono disposti secondo un rigido e tradizionale asse nord-sud, e sono collegati dalla Via Sacra elevata rispetto al terreno.

Le serate nel frattempo le abbiamo passate in compagnia di Silvia e Angela, due delle ragazze italiane che avevamo conosciuto a Shanghai e che si sono fermate a Pechino per lavorare. Protagonista assoluta delle cene è stata l’anatra laccata, celeberrima specialità culinaria pechinese, accompagnata da abbondanti porzioni di altre ottime pietanze. Le serate sono poi proseguite spesso a San Li Tun, zona rinomata per i bar e i locali notturni. In questo ambito Pechino lascia un po’ a desiderare ed il confronto con Shanghai è impietoso.

Finalmente il giorno seguente, dopo aver dato un’occhiata ai cantieri delle strutture per le prossime Olimpiadi, andiamo al Midi Festival, ovvero il principale motivo per cui siamo venuti a Pechino durante la settimana di festività nazionale (altrimenti scelta degna di persona poco sana di mente).
Il Midi Festival, che si tiene da qualche anno durante i primi giorni di maggio, è il più grande ed importante festival musicale della Cina. Ci sono cinque palchi di diverse dimensioni, i gruppi che partecipano sono cinesi ed internazionali, e spaziano dal black metal scandinavo alla musica etnica caraibica, dal punk cinese alla musica elettronica internazionale. Il livello delle performance era mediamente piuttosto buono, ed alcuni concerti sono stati molto intensi e di ottima qualità. L’aspetto migliore del festival, a prescindere dalla musica, è l’atmosfera molto rilassata e positiva che si respira, persone molto diverse (dai punksenzabbestia alle signorine in tacchi e minigonna, dai giovani cinesi agli attempati metallari europei) convivono per diversi giorni, condividendo la stessa musica e gli stessi spazi. C’è anche la possibilità di accamparsi per quattro giorni con la propria tenda, ma, unica nota negativa, il concetto di docce pubbliche stenta a farsi strada. Forse l’anno prossimo porterà consiglio…

Giunge quindi l’ora di una delle trappole più insidiose che attendono il turista in Cina: la Grande Muraglia. Durante l’escursione scopro che uno dei tre bergamaschi compagni di disavventure, Danilo, già avvistato al luculliano pranzo di Pasqua a Shanghai, conosce il mio concittadino Luigi, in quanto lavorano per la stessa ditta, e lo vede spesso ad Hong Kong. Innumerevoli sono i tranelli e le prove da superare lungo il percorso: lo spericolato pulmino con aria condizionata e guida che parla nei momenti sbagliati (venti minuti dopo il risveglio…) e tace quando invece dovrebbe dire qualcosa, le famigerate fabbriche statali per turisti, nell’ordine quella di giada, dove insegnano a distinguere la giada originale dalla plastica e dal vetro, e quella di ceramiche, dove durante il tour i lavoratori in pausa pranzo si sbafavano allegramente il rancio fra gli attrezzi del mestiere incuranti degli insonnoliti turisti. Con nostra grande fortuna abbiamo evitato la più temuta di tutte, ovvero il laboratorio di medicina tradizionale cinese, in cui un preoccupato medico di solito diagnostica strane malattie, disfunzioni e sbilanciamenti di yin e yang guarda caso curabili solo con costose erbe e pozioni lì presenti.

In un susseguirsi degno della mitica gita di Fantozzi alle Grotte di Postumia, arriviamo poi al paradiso degli allergici ai pollini, ovvero l’ingresso alla valle delle tombe Ming: un viale di oltre cinquecento metri, in cui si alternano filari di salici e colossali statue di animali e personaggi mitologici, avvolti in una tempesta di soffici batuffolini bianchi. Questo ameno viale è detto anche Via Sacra: notevole la traduzione del volantino pubblicitario, in cui era indicata come Scared Way. Forse volevano avvertirci del pericolo. Ecco quindi il pranzo tradizionale cinese: da segnalare il cameriere tuttofare, abile nel preparare caffé espressi piuttosto buoni ma soprattutto impareggiabile venditore di uno di quegli oggetti di cui si sentiva proprio la mancanza: un incrocio fra un fiammifero e uno zippo. Con la pancia alquanto piena, la guida ci abbandona ai piedi della Grande Muraglia, sezione di Mutianyu per la precisione. Fra rantoli, sbuffi e sudori superiamo il ripido dislivello e giungiamo alla tanto agognata meta: il panorama è magnifico, ogni passo ci rende presente la fatica fatta nei secoli scorsi per costruirla e mantenerla efficiente, e una coppia di cinesi pensa bene di inseguirci a rotta di collo chiamandoci a squarciagola per fare una foto con noi occidentali. Bello sentirsi delle trote da dieci chili appena pescate dal lago e fotografate per la gioia delle generazioni future.

Siamo ormai all’ultimo giorno, Silvia e Angela ci invitano a fare colazione nella loro stanza. L’appartamento, condiviso con altre due coppie di cinesi, si trova all’interno di uno dei tipici insediamenti costruiti per le danwei (unità lavorative) negli scorsi decenni. Gli edifici a sei piani sono attorniati da alberi e piccoli spazi destinati ad attività commerciali o funzioni collettive, come il parcheggio di biciclette gestito da un anziano del luogo. È la seconda volta che entro in un appartamento abitato da cinesi, la prima volta era stata in un nuovo compound a Shanghai, e devo dire che la differenza è piuttosto evidente: gli spazi comuni (bagno e cucina) nel vecchio appartamento pechinese lasciano piuttosto a desiderare, ma i servizi e l’atmosfera di cui godono i cittadini sono decisamente più accoglienti di quella del moderno compound shanghaiese.

Dalla loro camera, tappezzata di poster porno soft dal precedente inquilino rubacuori, ci spostiamo al famoso mercato delle pulci di Panjiayuan, dove ho condotto lunghe ed infruttuose trattative con una anziana venditrice di disegni e quadri. Inutile dire come fra le varie bancarelle dell’esteso mercato si trovasse di tutto e di più, inclusi bizzarri e voluminosi strumenti in pietra per autoerotismo femminile probabilmente dell’epoca Ming. A quei tempi le vibrazioni erano ancora manuali.
Lungo la strada del ritorno intravediamo il gigantesco cantiere per la nuove torri della CCTV progettate dall’OMA. Ormai è tardi, salutiamo Silvia e Angela e torniamo alla scintillante Clacsonville.

2 commenti:

Silvia ha detto...

Si,` e` proprio vero,a Pechino e` un po` un grande villaggio.
Anche se vivi solo da un mese e mezzo in questo enorme villaggio e da solo 2 settimane in una camera cinese, ti ci affezioni, inizi a volergli bene e tutto diventa una piacevole cornice.
Pure l` appartamentino costruito per le danwei sembra accogliente e TIPICAMENTE cinese…tu sai quanto ci piacciono, a noi turisti superficiali, queste cose TIPICHE!!!!
La cucina e` un tugurio, con resti di grasso animale , vegetale e altra tipologia non meglio definite (forse umano…) dappertutto. Non c` e` problema , basta non toccare troppo e andare a cena fuori. Il bagno e` peggio che mai, al dila` dello sporco per cui persino Mastro Lindo si sarebbe messo le mani nei capelli…la vasca da bagno e` circondata di tubature dalla dubbia Certificazione a Norma e da una finestrina arrugginita che ormai non si apre e non si chiude, ma chiede solo pieta`! Il lavandino sembra che perda, ma in realta` non ha un tubo che colleghi l` acqua di scarico con il sistema idraulico, per cui l`acqua precipita in una fossettina sotto il lavandino ogni volta che il rubinetto si apre.
Ma questo sarebbe il meno, dal momento che per accendere lo scaldabagno occorre mettere in atto un procedimento alla Meggaiver con batterie stilo e scintilla di partenza!
E anche qui ci siamo trattenute dal chiederci se il tutto sia a Norma…
La nostra cameretta con I poster porno soft ( che piu` che altro definirei squallidi) era davvero incrostata di sporco quando l` abbiamo vista la prima volta. Le finestre a scorrimento, sembravano dei pannelli oscuranti e fuori sembrava sempre ci fosse la nebbia! L` unico oggetto di valore che abbiamo trovato come indizio del precedente inquilino e` stata una scatola di preservativi cinesi Worriors, perfettamente in tono con I poster. Ma dopo averci dato sotto con scopa, mocio e olio di gomito ha iniziato ad assumere una sembianza decente tanto da farti provare una certa soddisfazione a stare in ginocchio come Cenerentola “ Oh canta usignol” a scrostare le mattonelle del pavimento.

Dopo una settimana la nostra nuova cameretta cinese ci sembrava una reggia o comunque qualcosa che assomigliasse al concetto di “ casa nostra”, il guardiano del garage delle bici ci salutava ogni mattina affettuosamente. Iniziavi a conoscere gli scaffali del supermercato sottocasa , i ristorantini zozzi aperti fino alle 2, la vecchietta col cane, vizi e virtu` dei coinquilini, lo scarico del bagno che non funziona.
Sono piccole, insignificanti cose a cui ci si affeziona facilmente quando si arriva in un posto nuovo.
E poi….” un giorno credi di esser giusto e di essere un grande uomo in un altro ti svegli e devi cominciare da zero”, Bennato ha proprio ragione.

Ah Ludo? Ci hanno SFRATTATE in tronco !!!!!
L` altra mattina mentre facevamo piacevolmente colazione attorno alla scrivania, un uomo cinese e` entrato in camera nostra e` ha detto (in cinese) che dovevamo sloggiare.
Dopo aver chiamato il nostro amico/traduttore ufficiale cinese Liu Ben e aver messo in chiaro la situazione, abbiamo fatto le valige. Incredule, arrabbiate, afflitte abbiamo capito che non ci stava niente da fare e che il tipo dell` agenzia immobiliare non si sarebbe mosso dalla nostra camera se noi non sloggiavamo.
Dopo un pomeriggio di trattative in cui abbiamo coinvolto persone dell` ambasciata, la nostra Direttrice dell` internship sul bamboo, il nostro amico cinese ( che ci aveva aiutate ad affittare l` appartamento) abbiamo capito che…
Non potevamo stare li` perche` siamo straniere e I cinesi non gradiscono di condividere il condominio con noi ( a detta di quelli dell` agenzia almeno)
L` agenzia a cui ci siamo rivolte, nonostante uno pseudocontratto firmato, si e` comportata proprio da “regime” per ribadire ancora una volta che qui siamo in Cina!
Siamo riuscite a farci, almeno, ridare I soldi dell` affitto, anche se c` e` voluta una lunga trattativa e il final price e` stato dichiarato dopo la minaccia di convocazione di polizia e avvocato.
Ce ne siamo andate via con la coda tra le gambe e sinceramente e` stata devvero una brutta giornata… forse per la prima volta da quando sono arrivata qui mi sono sentita una STRANIERA con tutte le conseguenze che porta con se` la definizione.

ludusc ha detto...

Probabilmente la vostra eccessiva attività di pulizia avrebbe potuto dare il cattivo esempio...comunque, se così è, mi sembra alquanto bizzarro il fatto che in una danwei in cui abitano migliaia di persone non si riesca ad accettare la presenza di due donzelle italiane. può essere anche che il vecchio inquilino nella nuova camera non sia più il latin lover di prima, e sentendo nostalgia per la tana del lupo e per i preservativi Warrior lasciati nel cassetto, abbia convinto quelli dell'agenzia a cacciarvi fuori. fossi in voi manderei lo stesso testo che avete postato qui alla comunità di cinesi che abitano in via paolo sarpi a milano, e attenderei risposta, anche se dubito che arriverà mai...