sabato 26 maggio 2007

Undicesima missiva

Prima puntata di una supponente e vanagloriosa appendice alle “Città invisibili” di Calvino. Ipotetici resoconti di Marco Polo al Khan, di ritorno dalla instancabile Shanghai degli albori del XXI secolo.

Prologo dalle “Città invisibili”

“Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore.
Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l'odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.”


Primo resoconto

Le città e il cielo

Miranda

Chi arriva a Miranda di giorno trova sul piatto terreno una grande scacchiera di ombrosi rettangoli, freschi o polverosi, appartati o lucidi, grinzosi o affannati. Questi altro non sono che la proiezione degli innumerevoli tetti di cui è composta la città, sospesi a mezz’aria secondo imperscrutabili leggi. Acuminati ed infidi, soffici e gremiti, istrionici e bitorzoluti, fumosi e laconici, i tetti formano un solido arcipelago di spessi ed indecifrabili incunaboli, chiamato dai suoi abitanti Miranda. Ogni giorno, quando il sole inizia a calare, una vociante squadra si avvia con dei lunghissimi ganci a srotolare i teli che stanno accovacciati sui tetti. Ogni telo ha una trama ed un ordito diverso, in alcuni scorrono dall’alto luminosi rigagnoli, altri assumono la sembianza di un cruciverba incompleto, molti sono colonizzati da instabili nidi di caucciù intrecciato. Solo quando i teli vengono srotolati, e con insistenti colpi di clacson preavvisano il loro arrivo a terra, l’indifferente suolo viene compartito in vie e piazze, corti e giardini segreti. La notte porta agli abitanti orientamento e direzione, riparo e certezze, fino a quando, al levar del sole, l’implacabile squadra riavvolge i teli, e si ritira insonnolita in uno degli infiniti ombrosi rettangoli di Miranda.

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